berenice

Berence 12

Berenice e l’illusionista greco.

La domenica è forse il giorno più bello, anche d’estate, anche se non c’è la scuola a scandire i giorni e le ore. Berenice passava la domenica d’estate nel suo bosco incartato, insieme ai suoi amici di fantasia e a quelle bambole che con lei condividevano i segreti di quel luogo magico e unico, non accessibile ad alcuno che non fosse come lei un bimbo. Come ogni volta, le sue bambole erano disposte in circolo formando un grande cerchio a cui Berenice partecipava con le sue stoviglie in miniatura: cucchiaio, tazza, piattino, teiera, brocca e zuccheriera. C’era tutto, non mancava nulla. La riunione sotto il salice durava tutta la mattinata e Berenice si allontanava salutando i magici ospiti solo all’ora del pranzo quando la mamma la chiamava dalla cucina della sua casa in mezzo al prato.
Quel pomeriggio, dopo la siesta che la mamma usava fare alla domenica, Berenice fu condotta alla piazza grande del paese. Il cartellone recitava a chiare lettere luccicanti e belle “Venite, venite gente ad assistere al grande spettacolo dell’illusionista greco”. Al centro della piazza c’era un baracchino di stoffa, poco più grande della corriera che aveva portato la bimba in paese e dalla finestrella centrale si poteva vedere uno spettacolo di burattini. La mamma lasciò che Berenice prendesse posto nelle piccole file di sedie minuscole tutte per bambini e Berenice scelse una seggiola accanto all’orchestra che era formata da due omoni barbuti e baffuti che suonavano soavemente il violino. Iniziò lo spettacolo e subito de lì da un lato, nel mezzo di una nuvoletta bianchissima apparve l’illusionista greco, un uomo alto vestito con un frac luccicante che portava lunghi capelli neri e ricci che sporgevano da una tuba nera con un fiocco rosso brillante. All’apparizione Berenice che tutto lo sapeva e tutto lo combinava d’un tratto disse: “kalispera!” e l’uomo subito rispose con un largo inchino: “buona sera”; sorrise a Berenice e con un gesto della mano fece apparire una moneta di cioccolato. Passò un’oa lieta la bimba assistendo allo spettacolo di magia e burattini. Poi, al calar della sera e finito lo spettacolo il mago si avvicinò alla piccola e le regalò un minuscolo cofanetto. Berenice contenta, dondolando di gioia ringraziò quel signore alto alto e promise che avrebbe aperto i cofanetto solo a casa, insieme alla mamma; salutò e fece un inchino, poi contenta e accompagnata per mano si allontanò con la sua mamma per tornare a casa con l’ultima corriera. Il conducente dell’enorme macchina a motore fischiò forte per chiamare gli ultimi ritardatari e quando tutti furono finalmente a bordo, il vecchio catorcio iniziò la sua corsa facendo vibrare di acciacchi il suo antico scheletro di metallo. Berenice stava lì, al suo posto vicino al finestrino come sempre del resto e con le mani appiccicate al vetro e la fronte in sintonia con la vibrazione della carcassa metallica iniziò a fantasticare, perdendosi tra una curva e l’altra in paesaggi lontani e remoti, colori tenui e personaggi volanti. Ecco lì, lontano, sopra le colline un drago giallo che volando un turbine di nuvole girava intorno a uno splendido drago rosso. In fondo, proprio ai piedi del bosco c’era una colonna di elefanti che si muovevano lenti, dondolando ad ogni passo, tutti con la proboscide in alto come una danza indiana e lì accanto a lei, proprio fuori del finestrino c’era un cavallo nero che galoppando lasciava nuvole azzurre dietro il suo cammino. I draghi sulla collina lasciarono il posto a lucciole allegre che danzavano in coppia dondolando su ghirlande di fiori e la notte arrivò, insieme al fischio stridente e giocondo del conducente che annunciava la fine della corsa della corriera. La mamma prese per mano Berenice e insieme andarono a casa, seguendo il viottolo di pietra impennato sulla collina e quando fu finalmente a casa Berenice aprì lo scrigno fatato che il mago le aveva donato. Volete sapere cosa c’era di tanto prezioso? Presto detto: la bimba trovò un piccolo pezzetto di carta piegata in quattro, lo dischiuse e vide disegnati due piccoli draghi colorati che formavano un cerchio e lì sotto c’era scritto: “la magia sta nel viaggio”.

Berenice 11

Berenice e Assuntina sbadatina.

Nel bosco incartato ogni cosa ha un nome e ogni ospite pure. Nessuno che abiti nel bosco incartato può non possedere un nome di cui andare fiero. Anche Berenice, la vispetta bambina ha un nome di tutto rispetto. Bisogna chiamare ogni cosa con il suo nome e guai a fare confusione. Berenice sapeva bene che i nomi servono a distinguere le persone e le professioni e anche i colori dei gattini e di sovente giocava alla maestra e interrogava i suoi invisibili ma bravissimi alunni. “Carletto interrogato!” Si, cominciava così il gioco della maestra.
Un giorno la mamma portò con se la piccola Berenice a fare compere al mercato e come sempre la bimbetta entusiasta accolse la nuova con spirito giocoso. Presero la corriera sbuffosa che era un grosso bus antichissimo a gasolio, tutto colorato e pieno di merletti e di ex-voto che sembrava una vara del santo patrono; si sedettero appena dietro il conducente perché Berenice voleva vedere la strada e le curve e poi era divertente stare sulla corriera nei posti davanti. Trunch sbuff bang bangh! truch truch trumm trumm trummummum… la corriera si avviò. Fuori dal bosco incartato, giù per la rocca fino al pianoro e poi le dolci colline e i cipressi raccolti a gruppi di tre o quattro e qualche casa piccola piccola in mezzo ai campi arati: i campi a righe della fantasia di Berenice, non si confondano con i campi a quadretti che sono quelli dove crescono gli scacchi. E la fantasia galoppa e la sorpresa nuova ad ogni curva: Berenice osservava tutto, anche la fatica del grosso conducente in maniche di camicia con il suo berretto d’ordinanza sempre fuori posto e i capelli corvini perennemente bagnati di una brillantina naturale a forza di sudore. Ciuff sbuff crangh spiff cingh… la corriera arrivò a destinazione. Berenice tenendo per mano la sua mamma scese dall’allegra corriera e insieme andarono a fare compere al mercato della città. Il sole già alto in cielo avvolgeva con il suo calore ogni cosa e le mercanzie brillavano luccicanti appese alle coloratissime bancarelline del mercato. Scarpe, gonne, magliettine colorate e poi ancora scarpe, pentole e cappelli e borse e giocattoli, si si, giocattoli! La bancarellina dei giocattoli mostrava una fila di bellissime bambole alte quasi quanto Berenice, sembravano molto simili a quella nella bottega del sarto, quella bambola che Berenice aveva scambiato per una bimba. Si fermarono lì a dare un’occhiata, madre e figlia incantate dalle bambole con quei vestitini demodé. Sotto la tenda brillante della bancarellina anche una signora, piccola come le sue bambole e con lunghi capelli bianchi attorcigliati sulla nuca. La donnina vestiva come le sue bambole con una gonna larga e vaporosa e sopra di quella, in bella vista un bianchissimo grembiule con volant e disegni di cuoricini sulla pettorina. “Signora Adelfa buongiorno”, la donnina conosceva bene la mamma di Berenice e con lei intavolò una sequela di convenevoli e chiacchiere che solo le giocattolaie sanno condurre con grande maestria. Berenice non faceva a caso, era presa dalle bambole e le osservava tutte, cercando in ognuna quel qualcosa che fosse unico da meritare il suo desiderio. Venne però anche per lei il momento dei convenevoli: “ciao piccolina, come ti chiami?” Berenice con la sua vispa  giocosa gaiezza non si fece prendere alla sprovvista e  con puntuta fierezza rispose: “Berenice!” E così dicendo accennò un inchino come aveva visto fare nei cartoni animati. La giocattolaia cominciò a chiedere: “ma tu, vai a scuola o all’asilo?” Berenice rispose ad ogni domanda con prontezza professionale, del resto lei non era una bambina qualunque: era Berenice! “E allora piccola Adele, quanti anni hai? Berenice fece una smorfia divertita rispose: “mi chiamo Berenice io! – “Oh già, mi sembri grandicella piccola mia, secondo me vai già in prima elementare. Allora Anna quanti anni hai?” Berenice un po’ divertita e un po’ indispettita sbottò: “Berenice, mi chiamo Berenice io!”. La giocattolaia abbassò i suoi occhiali da lettura che teneva sul suo piccolo nasino da bambolina e guardò dritto negli occhi la bimba che protestava: “già piccola mia, Berenice, lo so. E allora non vuoi dirmi quanti anni hai piccola Cinzia?” Berenice divertita dalla sbadataggine dell’anziana signora rispose: “sono bimba io!” Fece un inchino e scappò via a guardare le caramelle e i confetti esposti nella bancarella di fronte. Terminati i convenevoli di rito e definite alcune questioni di secondaria importanza, la mamma di Berenice salutò la giocattolaia e raggiunse la piccola Berenice alla bancarellina di fronte dove Berenice già con sguardo sognante assaporava con la fantasia le caramelle colorate esposte a cumuli ordinati. Girarono ancora un po’ le due dame, tra colori e profumi e oggetti rari ed eleganti: Berenice pensava ancora a quella signora, quella signora sbadata che nel giro di pochi minuti l’aveva chiamata con almeno tre nomi diversi. “Certo  che dev’essere un poco sbadata” pensava tra se e se la piccola mentre divertita immaginava se stessa cambiando i nomi degli oggetti e dei suoi amici del bosco incartato. “Che confusione, no no, no… non si possono cambiare i nomi. O forse si? …Magari per gioco! Si, solo per gioco, per un minuto soltanto tutti nomi cambieranno!” Fantasticando fantasticando la mattinata passò che Berenice non si accorse nemmeno di aver ripreso la corriera con la sua mamma e che erano già tornate a casa: si era fatta trascinare dalla fantasia e anche fisicamente dalla sua mamma che se la scarrozzava come un pacco postale sognante e con il cappellino in testa.

Berenice 10

Berenice e la raccolta differenziata.

Berenice era una bambina moderna ma a modo suo, amava le bambole anche se non ci giocava spesso e preferiva passare il suo tempo con gli amici immaginari del bosco, del suo meraviglioso bosco incartato. Nel bosco incartato succedeva di tutto a tutte le ore e certo anche se era proprio Berenice a suggerire gli accadimenti a volte, anzi quasi sempre, restava meravigliata e si divertiva da matti. Una mattina mentre la mamma stava rassettando casa, Berenice che aveva voglia di giocare le chiese cosa stesse facendo e quella prontamente rispose: “da domani ci sarà la raccolta differenziate Berenice, dovremo fare attenzione e trattare i nostri rifiuti con attenzione. Ciò significa, piccola mia, che dovremo fare attenzione a cosa buttiamo via e anche a riunire i rifiuti in base a come sono fatti”. Berenice ascoltò con attenzione e poi rispose: “significa che devo mettere le bambole con le bambole e le matite con le matite?” Ecco, Berenice aveva capito tutto a modo suo e adesso restava solo che iniziasse a fantasticare: andò proprio così. La mamma spiegò a Berenice la faccenda della raccolta differenziata nei minimi dettagli, con dovizia di particolari. Ovvero le diede il calendario settimanale della raccolta così come le era arrivato per lettera. Lunedì carta; martedì umido; mercoledì indifferenziato; giovedì umido; venerdì plastica e vetro e metalli; sabato nulla; domenica umido. Berenice imparò a memoria e nei giorni seguenti passò molto del suo tempo a osservare la mamma e a obiettare che questo o quello dovevano andare gettati qui o lì e che la carta doveva essere asciutta e che il vetro doveva essere pulito. La bimba divenne una professionista della raccolta differenziata e ne andava fiera. Ma Berenice era anche una campionessa di fantasia e quindi anche il bosco incartato subì la modernizzazione della raccolta differenziata.
“Buongiorno Lupo bancario!” Esclamò Berenice da sotto l’olmo altino. “Buongiorno” rispose Lupo bancario e si sedettero sotto l’albero a chiacchierare. Pian piano tutti gli abitanti del bosco incartato vennero ad ascoltare la nuova notizia e ognuno commentò la cosa con il suo vicino. C’era il gatto sonnellino, lo spaventa pifferi, Serena tremendina e anche il coniglietto giallo, insomma c’erano tutti quel pomeriggio lì ad ascoltare. “Dovete sapere che dobbiamo assolutamente fare la raccolta differenziata cari amici”,.fu la prima notizia che Berenice diede al bosco incartato. “Da domani dovremo differenziare i nostri rifiuti e tenere ben ordinati i nostri giocattoli. Amici del bosco, dovremo tenere le bambole con le bambole ma non a caso, dovremo tenerle secondo la loro altezza: le piccole con le piccole e le grandi insieme alle grandi”. Il pomeriggio passò così, facendo un lungo elenco di cosa si poteva fare e cosa si doveva mettere con cosa tenendo bene a mente le differenze di materiali e separando la carta dalla plastica e il vetro dal metallo. Le regole erano state dettate e adesso tutto il bosco incartato sapeva che bisognava fare la raccolta differenziata, si, esatto, come fa la mamma con le sue pattumiere colorate.

Berenice 9

Illustrazione di Antonio Bonanno (tutti i diritti riservati all'autore)(Illustrazione di Antonio Bonanno (c), www.antoniobonanno.it)

Berenice e l’ombra del pomeriggio.

La primavera, che grande invenzione! Le giornate si fanno sempre più lunghe e i campi si colorano via via sempre più di colori sgargianti e si popolano di ogni genere di animali: volatili felici e coloratissimi, chiassosi e veloci nell’aria tersa e profumata del pomeriggio. Poi la fauna che si risveglia dal lungo letargo e Berenice, si Berenice in giardino nel bel mezzo del pomeriggio assolato e silenzioso. Le bambole sono disposte in cerchio intorno a un minuscolo tavolino e prendono il tè. Bellissime le bambole di Berenice, sono tutte vestite con vestitini alla moda e Berenice le pettina di sovente perché siano sempre in ordine. Continue reading

Berenice 8

Berenice e la bambola di porcellana.

Berenice e la sua mamma spesso andavano in città a fare compere o solo per svago. Un sabato, dovendo farsi aggiustare un vestito per la primavera, la mamma e Berenice andarono a far visita al gran sarto che abitava in fondo alla strada della città. Berenice andava sempre contenta a trovare il sarto perché quella bottega era sempre fonte di novità e curiosità inaspettate. Allora di buon mattino le due damine – si erano proprio vestite come due damine – si incamminarono e arrivate in città fecero un giro tra vetrine e bancarelline colorate. Ecco, ecco la bottega del sarto con la sua grande insegna verde che invitava ad entrare e nella vetrina abiti e parti di abiti e corsetti e guanti e cappellini e manichini in posa… Entrarono. Berenice come al solito si guardò attorno e subito andò a salutare il sarto che in fondo alla ariosa stanza stava lavorando a qualcosa. Terminati i convenevoli, la mamma lasciò scorrazzare Berenice nella stanza sapendo che la bimba non avrebbe mai combinato danni perché era veramente giudiziosa. Si appartarono a discutere e prendere misure e Berenice come un gran investigatore osservava tutto cercando di capire cosa, chi, quando e anche perché. A un tratto in fondo a una lunga stanza che non aveva ancora visitato Berenice scorse una grande sedia su cui era seduta una bimba. “Una bimba” gridò felice e corse a fare la sua conoscenza. Bastarono tre falcate energiche e Berenice si trovò davanti alla bimba seduta, girò dall’altra parte perché la sedia era rivolta verso una finestra e appena fu davanti alla bimba esclamò: “ciao! Io sono Berenice.” Ci fu silenzio, tanto silenzio. La faccia di Berenice si fece subito seria e pensosa e dopo un po’, la bimba guardando verso il sarto lontano e indicando la sedia con tono di grande delusione sbottò: “questa non è una bimba! È finta!” Il sarto avendo compreso lo sconforto di Berenice si avvicinò e chinatosi alla sua altezza le sussurrò: “è vero Berenice, quella non è una bimba. Vedi, è fatta di stoffa e porcellana. È una bambola, anche se è alta come te è solo una bambola ed è molto antica”. Berenice chiese a chi appartenesse quella bambola così grande e vestita con quel vestitino così grazioso e il sarto le rispose che un tempo quella bambola appartenne a una bambina come lei, che la vestiva e ci giocava tanto. “E ora dov’è la bimba proprietaria della bambola?” Chiese dolcemente Berenice. “Adesso è una mamma e non gioca più con le bambole”, rispose il sarto. Berenice fece un cenno con la testa, un po’ dubitando e un po’ delusa. Accettò la cosa ma restò a fissare la bambola per qualche altro minuto, toccandola timidamente con gesti rapidi e quasi che avesse paura di svegliarla. La bambola era così grande che Berenice faceva fatica ad accettare che non fosse una bimba vera ma, tornata nell’altra stanza, dopo un po’ non ci pensò più e riprese la sua indagine tra stoffe e forbici e cappellini e mantelli. La giornata continuò lieta e finì con la nuova che esistevano bambole grandi come bimbe anche se nessuno ci giocava più.