Il commissario Guidi e la scomparsa di Fiorella

Il commissario Guidi e la scomparsa di Fiorella.

C’era una volta, nella Roma del primo dopoguerra una strada piccola piccola dove abitavano alcune decine di persone. Nessuna di quelle persone sapeva leggere ne tantomeno scrivere ma tutti certo sapevano contare. La miseria era tanta e il lavoro scarseggiava anche se fuori, in periferia si che c’era da lavorare. Alcuni lavoravano nei campi ed altri, ricostruivano un mondo che la guerra aveva mutilato pesantemente. Marco faceva la spola da Viterbo a Roma con il suo carretto trainato da un vecchio ronzino e ci metteva una vita ad arrivare: “Ma quant’è bello il Colosseo”, pensava ogni volta che con il suo carrettino passava di lì tra lastroni sconnessi che gli facevano cigolare il carro. In via dei Pedrettini c’era la bottega del vino con le sue botti grandi e annerite dal tempo. La bottega di mastro Aurelio era e sembrava una vecchia locanda dell’antica Roma con i suoi tavolini di legno sconnesso e i mattoni di cotto a vista. C’erano ampie arcate e i soffitti erano alti e bui. Ogni tanto una colomba scappava via dall’ampio fornice che faceva da entrata monumentale. Dov’ero? Ah si ecco… Marco con il suo carretto. Marco trasportava vino, vino per la bottega di mastro Aurelio in via dei Pedrettini. Anche Marco aveva una bottega ma la sua era un magazzino situato nella parte vecchia di Viterbo, nei pressi del gran palazzo Chigi e commerciava il vino, il vino generoso dell’Italia centro settentrionale e lo portava lì dove c’era qualcuno disposto a comprarne una buona quantità. Però Marco che si sentiva fiero romano “de Roma” in realtà era un siracusano alto e imponente, cresciuto a Viterbo, per cui non era romano e nemmeno siciliano: era un uomo che commerciava il vino e tanto bastava a tutti. Una mattina, all’ora ancora corta che forse erano le tre o forse le quattro, non si sa, Marco si dispose a viaggiare per il suo solito giro per rifornire di vino la città eterna. Le campagne, Marco viaggiava attraverso le campagne con il suo carretto trainato dall’unico ronzino e a volte impiegava  anche due giorni di viaggio perché non poteva andare veloce così carico di barili di vino. Si fermò a dormire a una locanda di Colle Fiorito sul grande lago di Bracciano e durante il viaggio, quando non dormiva cullato dal ciondolio del carretto si divertiva a comporre versi che entro qualche giorno dimenticava puntualmente: li fischiettava allegro e il suo fischiettare era il segnale che stava arrivando lì dove c’era qualcuno ad aspettarlo. Insomma Marco arrivò a Roma, due giorni dopo e con tantissime rime per la testa, rime che doveva assolutamente recitare a mastro Aurelio il vinaio. “Arri arri cavalluccio”, il dolce trotto del ronzino sul selciato nella frescura del tardo pomeriggio si poteva udire a distanza tra quei vicoli e vicoletti che sembravano una rappresentazione della città vecchia di Tangeri. Ecco via dei Pedrettini, ed ecco lì al fondo della strada  – dove i numeri civici o non c’erano o erano tutti da una sola parte pari e dispari a salire e dall’altra a scendere – la bella bottega antica di mastro Aurelio. Marco fermò il carretto e assicurò il ronzino al cerchio di ferro sulla parete accanto alla porta. Entrò nella locanda e chiamò con voce tonante “mastro Aurelio, mastro Aurelio eccomi con il vostro vino!” Nessuno rispose e anche per un bel pezzo, e sì che mastro Aurelio non abbandonava mai la sua bottega visto che ci abitava anche. Marco uscì sulla strade e chiese ai monelli che lì davanti giocavano a cozzare le pietre se avessero visto il vinaio. Nessuno di quei bimbi sapeva qualcosa e fecero tutti spallucce, a nessuno di loro importava poi granché. Lì di fronte abitava donna Rosella che era la capo rais della via e tutto sapeva e tutto conosceva, Marco decise di andare a farle visita, col cappello in mano pronto a offrire un po’ del suo vino per una informazione che donna Rosella gli avrebbe dato comunque. Ma lui questo non lo sapeva ancora. “Donna Rosella, sono Marco il commerciante di vino, affacciatevi per favore”, gridò d’abbasso della finestra e dopo un po’ proprio di lì una donna giovane e robusta si affacciò. “Cosa volete? Ho da fare io qui!” Marco chiese di mastro Aurelio, il vinaio dirimpettaio della signora e quella di rimando: “È nella sua bottega, chiamatelo forte che ormai d’udito è carente!” Marco ringraziò e fece cenno che aveva da regalarle una brocca di buon vino ma la signora rifiutò: non poteva accettare da uno sconosciuto. Tornato alla bottega, Marco chiamò ripetutamente mastro Aurelio ma non ricevendo risposta alcuna, decise di entrare fin dentro al retrobottega, magari il vecchio era lì da qualche parte indaffarato. Entrò, scostò la tenda che separava la zona della vendita da quella privata e acceso un lume che si trovava lì su un tavolino a portata di mano, si incamminò scrutando a destra  a sinistra il locale scuro e buio che emanava un forte odore di vino scese perfino in uno scantinato che forse doveva servire un tempo da dispensa e che adesso alla luce del lume pareva vuoto, tanto vuoto che sembrava una piazza d’armi. Ma nessuna traccia del vecchio mastro Aurelio: era un mistero, mastro Aurelio non era lì, da nessuna parte. Tornò sui suoi passi il viterbese alto e forzuto e mentre si accingeva a varcare la soglia del portone monumentale per uscire all’aria aperta ecco che di lontano vide il vecchio Aureliano che si avvicinava tenendo per mano una ragazzina. “Mastro Aurelio è un’ora che vi cerco. Ma dove vi eravate cacciato?” Il vecchio vinaio esordì: “Buona sera Marco, ecco, vedete? Dovevo recuperare mia nipote Fiorella.” In effetti la ragazzina che a occhio e croce doveva avere tredici o quattordici anni gli somigliava anche. Fiorella si chiamava ed era la figlia dell’unica figlia di mastro Aurelio. Il vecchio viveva in effetti con la figlia e la nipote, almeno da quando cominciò la guerra: Osvaldo, il marito della figlia non tornò dal fronte e fu dichiarato disperso in Grecia. Fiorella cresceva con una madre che faceva la cameriera a fortuna e il nonno che commerciava vino e non aveva alcun vizio al di fuori di collezionare articoli di giornale sulla storia d’Italia. Già, nel 1950 l’Italia era una repubblica giovanissima, diciamo una bimbetta. Fiorella piangeva spesso e talvolta scappava via di casa andando a rifugiarsi al cinema della parrocchia, l’unico luogo in cui amava passare del tempo. Le piaceva la settimana INCOM anche se in realtà di tutte le notizie propinate lei non capiva granché. La ragazzina non andava a scuola e stava in casa ad aiutare la mamma e talvolta il nonno alla bottega; non aveva il permesso di uscire fuori a giocare con gli altri bambini e men che meno poteva uscire con le sue amiche visto che di amiche in realtà non ne aveva. La televisione non c’era ancora anche se nei film americani già si vedeva che guardavano la televisione. Il nonno aveva la radio, una grande radio con un sorriso di numeri e due occhioni grandi (che erano le manopole della frequenza e del volume) racchiusi in una cassa di legno di noce. Di fronte alla bottega di mastro Aurelio, proprio accanto a donna Rosella abitava il commissario Guidi, un poliziotto giovanile, sulla quarantina, si in effetti aveva quarantacinque anni ma non li dimostrava. Il commissario Guidi, Gianluca Guidi, sempre impeccabile andava a lavorare in bicicletta al commissariato centrale ed era una persona amabile, sempre disponibile e molto riservato sulla sua vita privata. Ecco, siamo al completo e qui inizia l’avventura e il mistero. Quella sera, appena dopo il tramonto e quando Marco il commerciante si era già rimesso in viaggio per tornare a casa tutti di nuovo a cercare ma questa volta non cercavano mastro Aurelio: Fiorella era scomparsa nel nulla. La madre andò per tutta la sera in giro per il quartiere a cercare la ragazzina e anche il nonno si diede da fare per riacciuffarla. Ma al cinema della parrocchia non c’era e nemmeno davanti al negozio di dischi (che era già chiuso a quell’ora). I monelli a quell’ora non stavano per strada e la zona non era certamente brulicante di persone data l’ora e il periodo dell’anno. Bussarono alla porta di donna Rosella e anche a quella d
el panettiere e perfino alle altre persone che abitavano a via ma nessuno vide quella sera Fiorella. Violante – ecco sì la mamma di Fiorella si chiamava Violante – allora bussò anche alla porta  del commissario Guidi, anche se controvoglia ma non c’era altro da fare, quella sventurata non si trovava: era scappata di nuovo. Ma il commissario Guidi non era in casa essendo in quel momento di servizio e allora mandarono un ragazzino in questura a cercarlo. Arrivò la camionetta della polizia di lì a poco e il commissario scese dall’automezzo e raggiunta la casa di Violante si fece raccontare per filo e per segno tutto quanto la famigliola sapesse e potesse raccontare.
La notte la passarono tutti in bianco perché la ragazzina non tornò a casa e Violante la passò girando per tutta Roma cercando la figlia mentre il nonno sull’uscio di casa l’aspettava con gli occhi sgranati e il cuore in pezzi. La camionetta della polizia faceva la spola in lungo e in largo, il commissario Guidi e l’appuntato Bianchi si presero la briga di cercare la ragazzina ovunque, anche nei locali per soli uomini che nella capitale non mancavano i certo. Ma nulla, nulla di nulla: della ragazzina che piangeva non c’era traccia e nessuno che fosse sveglio e in circolazione seppe dare notizie.
Il sole era già alto e illuminava il cupolone, il commissario Guidi e l’appuntato Bianchi avevano interrotto le ricerche per riposare ma durò poco perché l’altoparlante di una vecchia camionetta pubblicitaria urlava che la compagnia del teatro Calì  era appena arrivata a Roma e faceva uno spettacolo al nuovissimo cine-teatro Sistina. Il cine-teatro Sistina era un teatro nuovissimo, lo avevano inaugurato proprio prima di capo d’anno e nessuno di coloro che abitavano in via dei Pedrettini c’era mai stato, nemmeno ad assistere a un cinematografo. Guidi e l’appuntato andarono a vedere. Giunsero prima a piazza Barberini e poi subito in via Sistina dove c’era il nuovissimo e modernissimo cine-teatro Sistina. Lì tra maestranze che muovevano carrucole e scenografie incontrarono il capocomico, tale Calì che illustrò ai due militari il lavoro del teatrante con orgoglio e fierezza. Ad uno ad uno furono presentati tutti gli attori e le attrici (anzi, l’attrice che era una sola e in scena non parlava mai). Il commissario chiese al capocomico se il giorno precedente o quella mattina avesse visto una ragazzina alta più o meno un metro e cinquanta con lunghi capelli neri e vestita come un monello ma quello negò rimandando i militar  a parlare con gli altri elementi della compagnia. Parlarono con il primo attore e poi anche con l’attor giovane, un tale Claudio Pallottini che si faceva chiamare Claud La Palotte perché faceva più francese… Pallottini confermò quanto detto prima dal suo capo e non aggiunse nulla di nuovo. Nulla. I militari salutarono educatamente e se ne andarono in questura a svolgere i loro compiti che era già tardi ed avevano perso una intera notte a cercare la piccola fuggitiva.
Passò una settimana e poi un’altra ma di Fiorella nessuna traccia. La famiglia raccolta nel dolore non si rassegnava alla perdita della amata ragazzina e il quartiere non era più lo stesso da quel giorno in cui Fiorella era venuta a mancare. Avevano fatto un identikit della ragazzina che era stato inviato in tutto il Lazio nella speranza di poterla trovare ancora viva ma il tempo passava e nessuna notizia arrivava. La notizia della scomparsa di Fiorella giunse presto anche a Viterbo dove Marco, il venditore di vino aveva la sua casa e viveva. Giusto alcune settimane dopo essere partita da Roma, la compagnia Calì giunse a Viterbo, al Teatro Unione, un bellissimo e antico teatro dalla fine architettura neoclassica. Marco alla notizia della scomparsa della giovane restò perplesso e titubante, in effetti ultimamente aveva visto a Viterbo, proprio nel suo quartiere una ragazzina che si somigliava tanto alla piccola Fiorella e ne aveva anche notato i connotati pensando al caso. Ma poteva essere che Fiorella, la nipote di Aurelio fosse proprio lì a Viterbo, con tanti luoghi dove fuggire? Ci pensò una buona mattinata e alla fine si decise a far visita alla locale stazione dei Carabinieri. Entrò, il grosso omone buono, con il cappello in mano e le spalle strette, facendo come in punta di piedi; riferì per punto a punto quanto gli era parso di vedere al maresciallo Foderaro che appresa la nuova avvertì immediatamente via telefono il commissariato di Roma. Le ricerche della ragazza ripresero allora proprio da lì, da Viterbo e il commissario Guidi portandosi appresso il suo attendente Bianchi andò a parlare con Marco e con il maresciallo Foderaro.
Il commissario interrogò Marco facendogli vedere l’identikit che avevano fatto visto che di fotografie recenti della ragazza non ce n’erano giacché l’unica che esisteva la ritraeva su un cuscino a pancia in giù all’età di soli 3 giorni di vita. Marco raccontò al commissario quando e dove aveva visto quella ragazzina che gli pareva proprio uguale a Fiorella e accompagnò i militari sul luogo dell’avvistamento.
Un punto avanti forse, si, un punto avanti nelle indagini. Il commissario Guidi sentito l’onome buono e congedatosi dal maresciallo Foderaro che lo aveva mandato a chiamare si accinse a ripartire quando di lontano vide e ricordò la camionetta pubblicitaria del teatro della compagnia Calì. “Che strano… ‘sta camionetta è quella che stava a Roma quando scomparve la ragazzina…”, pensò. Si avvicinò alla camionetta e lì accanto seduti al tavolino di un bar della piazza delle Erbe stavano l’attor giovane, quel tale Pallottini che si faceva chiamare con un nome francese e una donna, l’attrice che non parlava mai. Si avvicinò alla coppia il commissario e salutando garbatamente chiese le generalità ai due avventori del bar. Pallottini, l’attor giovane fece notare al commissario che lui lo conosceva perché lo aveva già incontrato a Roma presentò la donna al militare: “Valentina signor commissario, questa è a mia collega Valentina che lavora con me nella compagnia Calì”. Dopo i convenevoli il commissario si fece raccontare dai due cosa facessero a Viterbo e chiese loro che avessero visto una ragazzina alta più o meno tanto così e che potesse assomigliare all’identikit che portava con sé. Nulla, i due non avevano visto la ragazza o questo è quanto affermavano. Il commissario li salutò e tornò dal suo amico maresciallo Foderaro.
La riunione in caserma durò una buona mezz’ora, il maresciallo Foderaro fu messo al corrente delle indagini e coinvolto a collaborare nella ricerca della ragazzina sparita. La compagnia Calì fu segnalata perché presente in entrambi i luoghi del fatto e anche perché quegli attori non sembravano dire tutta la verità… Ma ancora una volta non si arrivò a capo di nulla.
Passarono altre due settimane durante le quali Aurelio  e sua figlia non smisero mai di cercare la ragazza per tutta Roma, disperati ma tenaci.
La novità arrivò una mattina, quattro settimane dopo la scomparsa di Fiorella: qualcuno l’aveva vista a Pozzuoli, sul molo del porto vicino alla gelateria. Ad avvertire i Carabinieri fu un marinaio dalla barba bianca che a Pozzuoli stazionava sul molo nella speranza di trovar lavoro; si chiamava Biagio Amadisso che a Pozzuoli era conosciuto per essere una gran brava persona. Amadisso aveva visto una ragazzina che poteva somigliare a Fiorella proprio nelle vicinanze del sito archeologico dell’anfiteatro Flavio, il vecchio teatro romano che di tanto in tanto ancora qualche volta si usava per fare delle recite all’aperto. Il commissario Guidi fece una gita a Pozzuoli per andare a capire e indagare.
Pozzuoli, avamposto gentile della grande e caotica Napoli, un luogo che possedeva quella magia che tanto piaceva al commissario Guidi. Il commissario prese una stanza in una pensioncina cinico alle terme, pulita e ordinata, dalla quale entravano e uscivano comitive di turisti inglesi e americani con le loro cineprese e cappellini di paglia da turista felice. La stessa mattina dell’arrivo del commissario, Biagio Amadisso fu convocato per la deposizione spontanea davanti al militare e il canuto marinaio raccontò ciò che aveva visto: “Camminavo per i fatti miei nei pressi dell’anfiteatro quando vidi una camionetta bianca con un altoparlante ‘ncoppa e delle persone che trafficavano con telai e stoffe. Mi avvicinai per non si sa mai che potevano farmi lavorare e lì vidi la ragazzina che stava parlando con uno con la barbetta e i capelli che pareva Don Abbondio senza tonaca”. Questo fu il racconto iniziale del marinaio e l’inizio di un sospetto che il commissario già teneva latente in seno. Guidi si fece raccontare di nuovo chiedendo questa volta più particolari e quando il marinaio ebbe finito lo congedò dicendogli che avrebbe potuto aver ancora bisogno di sentirlo. La descrizione che il marinaio aveva fatto somigliava para para a quell’attore Pallottini e anche la descrizione della camionetta era la stessa. La camionetta della polizia si fermò proprio davanti all’anfiteatro Flavio dove in effetti la sera prima si era svolto lo spettacolo della compagnia Calì. Tutti, dai tecnici fino al capocomico furono convocati alla locale stazione dei Carabinieri e interrogati. Anche l’attor giovane, il tale Pallottini fu interrogato e questa volta il commissario Guidi ci andò non proprio leggero, torchiando il malcapitato a dovere per tutto il pomeriggio. Ma Pallottini non sapeva nulla oppure era abilissimo a mentire. Certo senza prove e senza elementi importanti non potevano trattenerlo e a malincuore il commissario che si era fatto prestare la stanza dai Carabinieri fu costretto a rilasciare l’artista. Pallottini se ne andò un po’ confuso e un po’ arrabbiato e il commissario d’accordo con il comandante della stazione dei Carabinieri organizzò un servizio di indagine che doveva spiare le mosse della compagnia di artisti e in particolare quelle dell’attore Pallottini, principale indiziato per la scomparsa della ragazzina romana.
La settimana successiva altra segnalazione e questa volta a Napoli, sempre in contemporanea dello spettacolo della ormai nota compagnia. Il commissario Guidi si decise e mandò a chiamare l’attore Pallottini, lo interrogò nuovamente e questa volta lo trattenne. La camionetta della polizia portò l’attore in gattabuia, doveva per forza confessare, era chiaro che lui sapesse altro che non aveva detto. La compagnia Calì dovette interrompere il giro e fermarsi a Roma in attesa di nuove notizie mentre il commissario Guidi non abbandonava nessuna traccia, anche la più lieve che potesse fargli risolvere la faccenda: era una questione particolare, a sparire era proprio una sua vicina di casa e lui doveva a tutti i costi trovarla. Le segnalazioni continuarono e questa volta tutte a Roma, proprio dove alloggiavano gli artisti, in una bettola di via di Ripetta. Guidi mandò a chiamarli tutti, deciso di metterli in gattabuia all’ingrosso se non avessero detto la verità. Si presentarono al commissariato, mogi come bimbi sperduti e lì le cose presero una piega differente. La compagnia era al completo, c’erano tutti ma proprio tutti con mogli e figli al seguito. Guidi li osservò, tutti in fila e capì che quei poveri guitti con la sua indagine non c’entravano proprio per nulla: alla destra del capocomico c’era una ragazzina alt un metro e mezzo, dall’apparente età di dodici o tredici anni, con la corporatura e la forma del viso simili a quella i Fiorella. In tutto quel tempo era stata segnalata una ragazzina sbagliata e quindi quel tale Pallottini sicuramente non c’entrava nulla. Fu rilasciato l’attore e con lui tutta la carovana di guitti del teatro che veloci come saette si dileguarono senza voltarsi indietro. Solo un mese più tardi si seppe che Fiorella non si era mai allontanata da Roma ma conviveva con un ragazzo di poco più grande di lei, Carlo, un muratorino che giurò di volerla sposare e che abitava solo a duecento metri di distanza da via dei Pedrettini. Carlo dovette aspettare i ventun’anni per sposare Fiorella e il commissario Guidi continuò a fare il poliziotto della porta accanto, Pallottini divenne capocomico e fondò una nuova compagnia insieme a un argentino che si chiamava Riondet mentre la sua collega Valentina continuò a recitare senza dire mai una parola.
Diciotto anni dopo, per caso o per non si sa quale destino si ritrovarono tutti al cinema lì al cine-teatro Sistina ad assistere a un cinematografo e seduti tutti i prima fila. Risero di gusto guardando con piacere “Arriva Dorellik”.


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